La formazione come strumento per le aziende che vinceranno le sfide di domani, prima fra tutte la sfida energetica nel mondo della metallurgia
E’ in partenza il 18 ottobre 2023 la terza edizione di Metal University, la “Technology School” per la formazione professionale delle imprese siderurgiche, metallurgiche e metalmeccaniche voluta da AQM Centro Servizi Tecnici alle Imprese, ISFOR (divisione di Fondazione AIB) e Riconversider (Ente di formazione e consulenza di Federacciai). L’anno 2023 vede infatti la concomitanza della conclusione della prima edizione e della seconda annualità della seconda edizione, che hanno visto la partecipazione di oltre 250 allievi provenienti da oltre 30 aziende metalmeccaniche fra cui Almag, Acciaierie d’Italia, ASFO, Asonext, Brawo, Cimolai, Duferco Travi e Profilati, Feralpi, Ferrari, Finmetal, Foma, Fomas, Forgia di Bollate, Gruppo Fontana,Lucchini, Marcegaglia, Maxion Wheels, NLMK, Ofar, Ori Martin, Raffmetal, Rodacciai, ecc. Le novità della terza edizione: All’interno del programma è prevista la possibilità di iscrizione a tariffa dedicata al MASTER IL METALLURGIA 4.0, per ottenere la certificazione di Tecnologo in Metallurgia 4.0, riconosciuta a seguito del completamento del percorso del Master (durata 650 ore) e del superamento dell’esame finale.
Una tariffa dedicata è inoltre prevista per quelle aziende che vogliano approfittare della fruizione modulata e flessibile, nell’ambito di un’offerta formativa attiva di 500 ore anno per il solo anno 23-24.
Metal University è la “scuola” ideale per manager e tecnici delle imprese operanti nei settori connessi ai processi metallurgici e di lavorazione dei metalli che vogliono accrescere o completare le loro conoscenze tecnico-scientifiche, organizzative e trasversali. Ha l’obiettivo di accompagnare le aziende, gli imprenditori, i manager e i lavoratori del mondo metallurgico, verso una continua acquisizione di competenze, all’interno di uno scenario in costante mutamento
Attraverso un format didattico innovativo Metal University consente una fruizione modulare delle attività in base alle esigenze di crescita e di lavoro di ogni impresa e di ogni partecipante, rappresentando così un’offerta formativa consistente e sostenibile, ricca e qualificata.
La terza edizione di Metal University, le cui lezioni avranno inizio il 18 ottobre 2023, prevede 750 ore di formazione fruibili in un arco temporale di un triennio, tramite partecipazione flessibile nelle tre aree formative: Tecnico/Metallurgica, Digitale e Manageriale/Trasversale.
Processi di Innovazione per le Produzioni Metallurgiche alla Luce della Transizione Ecologica
Webinar Gratuito Online | 29 Novembre h 15:30
Processi di Innovazione Webinar Gratuito. Il 29 novembre, dalle ore 15:30 alle 17:00, AQM, ISFOR e Riconversider presentano la terza edizione di Metal University, la “Technology school” di alta formazione dei comparti siderurgico, metallurgico e metalmeccanico, con una Open Lectio Magistralis tenuta da Nicola Fabbri, Senior Consultant di Ergo srl, spin off della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Durante l’incontro, che si terrà online, si parlerà di transizione ecologica e delle sfide che le produzioni metallurgiche europee dovranno affrontare. Quella che emerge in modo più evidente è la sfida energetica, ma questa è l’espressione di un problema ben più complesso che riguarda le modifiche strutturali delle produzioni cosiddette “Hard to Abate”.
L’intervento sarà preceduto dalla presentazione della terza edizione di Metal University, le cui lezioni avranno inizio il 16 gennaio 2023, che prevede 750 ore di formazione fruibili in un arco temporale di un triennio, tramite partecipazione flessibile nelle tre aree formative: Tecnico/Metallurgica, Digitale e Manageriale/Trasversale.
La partecipazione al webinar è gratuita previa iscrizione.
Un percorso manageriale completo non può prescindere dall’allenare una delle soft skills di base: la comunicazione interpersonale.
Sappiamo per esperienza che qualsiasi buona idea può cadere nel vuoto se non è accompagnata dalla capacità di coinvolgere, così come qualsiasi buona intenzione verso i nostri collaboratori può venir travisata se non prestiamo sufficiente attenzione agli impatti delle nostre parole (e non solo) sull’interlocutore.
Interrogarsi sulla propria capacità comunicativa significa quindi, in primis, ricordarsi che una buona comunicazione è influenzata tanto dal “come ci si esprime” quanto dal “come ci si relaziona”.
Non è quindi una questione di strategie o di frasi ad effetto ma di interesse sincero alla relazione, di cura delle parole, di scelta dei comportamenti più adeguati.
Non è più il tempo delle tecniche e dei “teatrini” relazionali, ai nuovi leader è richiesto di mettere tutti se stessi nel proprio ruolo, interpretandolo con profondità e consapevolezza.
Per rafforzare questa abilità umana, la capacità di comunicare in modo autentico e profondo, è utile tenere a mente alcuni punti chiave.
Considerare, sempre, il punto di vista:
allenarsi a mettersi nei panni dell’altro, chiedendosi quali sono le sue conoscenze di un determinato argomento o situazione, i suoi valori, il suo mindset, il suo background, può aiutarci ad entrare in sintonia con il nostro interlocutore e a scardinare alla radice uno dei principali nemici delle buone relazioni: il pregiudizio!
Praticare assertività:
concetto molto noto che vi ripropongo nella sua sfaccettatura più profonda: per relazionarsi con assertività è imprescindibile partire da sé, facendo chiarezza sulle proprie convinzioni e fortificando la propria autostima, per rendersi pienamente consapevoli che ciò che facciamo o non facciamo, diciamo o non diciamo ha un impatto sugli altri.
Allenarsi a fare domande:
le domande sono il grande alleato della comunicazione, esse ci danno la possibilità di coinvolgere, approfondire, testimoniare attenzione, instaurare uno scambio generativo, spostare il focus. Quindi alleniamoci a fare agli altri (e anche a noi stessi) delle buone domande. Come riconoscerle? Sono semplici, chiare, aperte e la loro risposta non ci conferma semplicemente qualcosa che immaginavamo o sapevamo già, ma apre nuove prospettive.
Infine, per chi ricopre un ruolo manageriale non si può parlare di comunicazione senza parlare del principe della comunicazione di ruolo, ovvero il feedback, quel momento raro e prezioso in cui ogni nostra parola può diventare balsamo sulle ferite, molla per fare di più e occhiali per guardare a se stessi da nuove prospettive.
Dalle lezioni del 21 e 22 ottobre 2021 di Metal University
La “TECHNOLOGY SCHOOL” di alta Formazione dei Comparti Siderurgico, Metallurgico e Metalmeccanico, riparte il 30 SETTEMBRE
11 Giugno 2021
Si conclude oggi la prima annualità della prima edizione dei Metal University, la “Technology School” per la formazione professionale delle imprese siderurgiche, metallurgiche e metalmeccaniche voluta da AQM Centro Servizi Tecnici alle Imprese,ISFOR (divisione di Fondazione AIB) e Riconversider (Ente di formazione e consulenza di Federacciai).
Il primo anno didattico ha avuto un risultato eccellente che testimonia la volontà di evoluzione e crescita di questo comparto strategico, con la partecipazione di 126 allievi provenienti da 23 aziende metalmeccaniche che hanno usufruito di 16 diversi corsi per un totale di 252 ore. Il 30 settembre parte la seconda edizione, cui potranno aderire nuove aziende, oltre a quelle che già hanno aderito per il primo triennio, come, fra le altre: Almag, ArcelorMittal, ASFO, Asonext, Asoforge, Brawo, Duferco Travi e Profilati Spa, Feralpi, Finmetal, Foma, Fomas, Marcegaglia, NLMK, Ori Martin, Rodacciai.
METAL UNIVERSITY è una scuola di alta formazione rivolta a tutte le imprese, dalle piccole e medie a quelle di grandi dimensioni, pensata per essere un punto di riferimento per le imprese operanti nei settori connessi ai processi metallurgici e di lavorazione dei metalli e suddivisa in tre aree formative: Tecnico/Metallurgica, Digitale e Manageriale/Trasversale.
Il progetto si fonda su un concetto di formazione non più inteso come fruizione puntuale di singoli corsi, ma come scuola, adesione, partecipazione delle aziende ad un centro di competenze, focalizzato sulla generazione e condivisione costante e continua di esperienze e conoscenze.
Tutto questo perché oggi le aziende, per rimanere competitive sui mercati, hanno la necessità di confrontarsi costantemente in una cornice di vissuto comune, nella quale cogliere dinamiche settoriali, di mercato, opportunità, idee, ipotesi di sviluppo del business e del capitale umano.
Partendo da questi presupposti METAL UNIVERSITY prevede che ogni azienda aderente disponga di 750 ore di formazione fruibili in un arco temporale di un triennio, tramite una partecipazione flessibile, entro la quale selezionare i corsi di maggiore interesse per i dipendenti, partecipando a visite aziendali, workshop e alla community dedicata.
Il percorso può essere completamente finanziato attraverso i vari fondi interprofessionali ed è inoltre possibile richiedere contributi camerali.
“Metallurgia e tecnologie di lavorazione e trasformazione dei metalli sono il focus di Metal University”, dichiara Gabriele Ceselin, CEO & General Manager di AQM. “Esse sono l’ossatura scientifico-tecnologica di questa scuola d’alta formazione dove lo sviluppo delle soft skills e l’introduzione alle tematihce della digitalizzazione dei processi sono gli elementi, non secondari, di completamento e di abilitazione all’applicazione efficace delle conoscenze tecnico-scientifiche acquisite in una chiave 4.0. Nonostante un periodo segnato dalle difficoltà didattiche dovute dalla pandemia, il successo del primo anno didattico di Metal University che segue quello dell’edizione delMaster in Metallurgia 4.0, il cui percorso si ritrova nel format di Metal University, conferma che questo tipo di formazione consente l’evoluzione efficace delle capacità e delle competenze dei discenti”.
“Il nostro claim è IL FUTURO PARTE DA QUI.” dichiara Cinzia Pollio, Direttore Generale di Fondazione AIB e di ISFOR.“Con questo intendiamo enfatizzare l’importanza della formazione per le imprese, anche per i professionisti del mondo metallurgico. Le competenze sono la più importante risorsa strategica e competitiva di ogni impresa. Il sapere non si può copiare, per questo è fondamentale. Nell’ambito metallurgico, gli asset tecnologici e impiantistici sono fattori abilitanti ma non sufficienti. La qualità e la potenzialità del capitale umano sono le condizioni indispensabili per esprimere pienamente le potenzialità degli asset. Tecnologie, Persone e Fiducia sono il tratto distintivo di Metal University”.
“Da sempre Riconversider considera la competitività aziendale strettamente legata alla crescita delle competenze professionali di chi nell’impresa opera ogni giorno” dichiara Giovanni Corti, Amministratore Delegato di Riconversider. “Questa capacità di accompagnare lo sviluppo di un’organizzazione assume ancora maggior valore in un momento storico, quale quello che stiamo vivendo, che impone a imprenditori, manager e tecnici qualificati sfide nuove e complesse. Diventa quindi sempre più necessario aggiornare le competenze tecniche per essere in grado di affrontare le nuove frontiere tecnologiche ma anche dotarsi di figure chiave in grado di guidare e gestire i cambiamenti in uno scenario in continua evoluzione.Metal University, grazie a un nuovo modello formativo consistente e sostenibile risponde alla domanda di quali siano le competenze indispensabili oggi per meglio comprendere i diversi contesti competitivi e i settori di riferimento al fine di poter prendere le migliori decisioni e realizzare i propri obiettivi e già i primi risultati sui partecipanti alle attività ci confortano in questo senso. Siamo solo all’inizio ma la via è tracciata”.
Quando si sottrae calore da un bagno di metallo liquido con velocità moderata, la temperatura, dopo aver raggiunto il punto d’inizio solidificazione teorico, la temperatura continua a diminuire senza che il liquido solidifichi.
Dopo un certo sottoraffreddamento (isteresi), la solidificazione incomincia e poi progredisce rapidamente, mentre la temperatura del sistema può risalire o continuare a scendere più lentamente finché non si completa la solidificazione di tutto il metallo liquido disponibile.
Questo può essere spiegato considerando gli atomi del metallo allo stato liquido che si muovono caoticamente e non sono disposti secondo uno schema ordinato. Alla temperatura d’inizio solidificazione, dovrebbero ordinarsi secondo lo schema geometrico caratteristico del reticolo cristallino del metallo solido, generando il primo nucleodicristallizzazione; tuttavia, la probabilità che ciò avvenga è molto bassa.
Spesso accade che gli atomi non trovino immediatamente la loro giusta disposizione; talvolta formano aggregati di dimensioni insufficienti per l’accrescimento di un cristallo e subito si separano, ritornando alla massa caotica del liquido.
In entrambi i casi, il metallo continua a raffreddarsi senza solidificare, cioè non cristallizza.
Il raffreddamento fa diminuire l’energia cinetica degli atomi che rallentano i loro movimenti vibrazionali rotazionali e transazionali: ciò favorisce la probabilità della nucleazione.
Quando un numero sufficientemente grande di atomi, continuando a disporsi secondo configurazioni diverse, assume quella tipica del reticolo cristallino e raggiunge adeguate dimensioni, si forma il primo nucleo stabile (nucleazione endogena).
Subito dopo altri atomi si depositano sul nucleo, che s’accresce rapidamente (accrescimento).
La rapida formazione dei legami solidi cede una discreta quantità di calore (calore latente di solidificazione), sufficiente per compensarne l’asportazione del raffreddamento e per riscaldare un po’ il sistema, che riduce il proprio sottoraffreddamento.
Se l’asportazione di calore è moderata o piccola, la temperatura può aumentare fin quasi a raggiungere quella di solidificazione in condizioni di raffreddamento lentissimo (quasi equilibrio), altrimenti resta inferiore, fino a solidificazione compiuta.
Da questo punto in poi il comportamento del sistema ritorna normale ed il raffreddamento prosegue regolarmente fino a completamento della solidificazione.
Se l’asportazione di calore è elevata, la temperatura scende continuamente, senza evidenziare il tipico arresto alla temperatura di solidificazione del metallo puro in condizioni di raffreddamento lentissimo.
Per ridurre il fenomeno del sottoraffreddamento e favorire la solidificazione si usa l’inoculazione o nucleazione esogena. In tal caso, s’introducono nel liquido minutissimi cristalli di qualsiasi sostanza solida, ala temperatura del liquido, che fungono da inneschi o da germi di cristallizzazione.
Quando la polvere del solido inoculante è di composizione identica a quella del metallo liquido che intendiamo far solidificare più agevolmente, la nucleazioneesogenasi diceomogenea. Se la polvere solida è una sostanza diversa, la nucleazione esogena si diceeterogenea. Anche quest’ultima favorisce la solidificazione, perché gli atomi del liquido sottoraffreddato aderiscono alla superficie solida delle particelle esogene per adsorbimento e sono trattenute, trovando più agevolmente la corretta configurazione cristallina.
Se la velocità di raffreddamento è straordinariamente elevata, anche i metalli non cristallizzano più, ma raggiungono uno stato metastabile di sottoraffreddamento. Gli atomi non hanno più sufficiente energia per traslare e rimangono bloccati mantenendo la disposizione disordinata del liquido (stato amorfo). Si ottengono così i metalli vetrosi o vetri metallici. Essi possiedono alcune proprietà in comune con i solidi, per esempio la rigidità, perciò non sembra appropriato definirli fluidi eccezionalmente viscosi.
Con la diffrattometria ai raggi X, tecnica che consente di studiare la disposizione dei piani atomici nelle sostanze cristalline, si ottengono diffrattogrammi sfocati, o con aloni, che dimostrano una disposizione caotica degli atomi, molto diversa da quella dei solidi cristallini, dove i diversi piani atomici generano numerose macchie, particolarmente ordinate e ben focalizzate (figura 1).
Nei solidi amorfi i piani atomici non esistono e gli spettri di diffrazione non generano macchie, se non molto sfumate e confuse, in posizioni irregolari, come accade per tutti i liquidi.
In casi rarissimi e ricorrendo a tecniche particolari, nel liquido sottoraffreddato è possibile formare un unico germe di cristallizzazione. A solidificazione ultimata s’ottiene un monocristallo che occupa l’intero volume del solido, con forma uguale a quella del recipiente che conteneva il liquido.
Durante la solidificazione reale, nella massa liquida sottoraffreddata si formano germi di cristallizzazione, tanto più numerosi quanto maggiore è il sottoraffreddamento prima della nucleazione. Essi s’accrescono indipendentemente l’uno dall’altro, finché vengono a contatto con l’esaurirsi del liquido.
Se non esistono condizioni di solidificazione particolari, che favoriscono l’orientamento, i cristalli si dispongono in modo casuale, generando una cristallizzazione equiassica, dove, in ogni direzione, esiste un numero uguale di cristalli orientati nello stesso modo.
La solidificazione avviene sempre in direzione opposta alla fuga del calore, cioè dalla parete del contenitore (lingottiera) verso il nucleo del lingotto.
In condizioni di scarsa nucleazione (basse velocità di raffreddamento o sottoraffreddamento piccolo o nullo), i cristalli già solidificati a contatto con la superficie fredda della lingottiera, s’accrescono perpendicolarmente alla parete, generando una cristallizzazione orientata o cristallizzazione colonnare.
La macrostruttura di solidificazione, tipica di un lingotto quadro, è quella schematizzata in figura 2, dove si osserva: un sottile guscio superficiale con cristallizzazione equiassica finissima; uno strato intermedio con cristallizzazione colonnare, più o meno estesa; il nucleo con cristallizzazione equiassica grossolana.
Il primo strato si forma in condizioni di grande sottoraffreddamento, perché non appena il liquido tocca la superficie della lingottiera, si raffredda rapidamente e genera moltissimi nuclei di cristallizzazione, il cui accrescimento s’arresta rapidamente per mutuo contatto. Si forma così la pelle del lingotto caratterizzata da finissima cristallizzazione, senza orientamento preferenziale (zona A di figura 3).
Il guscio solido appena formato si stacca dalla lingottiera, per contrazione termica; così, il calore non è più smaltito per conduzione attraverso il contatto diretto tra lingotto e lingottiera, ma per convezione ed irraggiamento attraverso l’aria che divide le due superfici: perciò la velocità di raffreddamento cade bruscamente. Il sottoraffreddamento si riduce al minimo o s’annulla e blocca la nucleazione di altri cristalli.
La solidificazione continua per accrescimento dei cristalli del guscio superficiale affacciati al liquido, che si sviluppano verso l’interno, allungandosi notevolmente e generando la cristallizzazione orientata, o colonnare (zona B di figura 3).
Quando i cristalli diventano sufficientemente lunghi da ondeggiare nel liquido residuo, soggetto a moti convettivi, si possono rompere in piccoli frammenti, che si disperdono nel liquido residuo e diventano nuclei d’accrescimento di altrettanti cristalli. Essi solidificano con orientamento casuale (cristallizzazione equiassica) nel liquido residuo, cioè nella parte più interna del lingotto (parte centrale di figura 2).
CRISTALLIZZAZIONE DENDRITICA
L’accrescimento dei cristalli avviene sempre con l’apporto di nuovi atomi che si dispongono sulle facce del cristallo già solidificato, come per accostamento di nuove celle elementari al reticolo cristallino del nucleo originario.
Per varie ragioni l’accrescimento si manifesta in una direzione preferenziale. Si sviluppano così strutture arborescenti dette dentriti (figure 4 e 5), costituite da un tronco, rami principali, su cui s’accrescono rami secondari e terziari, che formano fra loro angoli tipici della simmetria del cristallo.
Nel caso delle leghe ferrose sempre con simmetria cubica, tutti gli angoli sono retti.
Durante la solidificazione i singoli rami s’accresceranno dimensionalmente, ingrossandosi fino a completa solidificazione dell’intero cristallo, colmando ogni spazio tra loro.
Dalla lezione del 12 Novembre 2020 “Metallurgia fondamentale delle leghe metalliche”
“Senza dati sei solo un’altra persona con un’opinione” diceva William Edwards Deming, ingegnere, statistico e saggista. Complice il Covid-19, tutti noi abbiamo imparato a conoscere l’importanza dei dati e della loro rilevanza pratica applicata alla nostra vita quotidiana.
Come per gli individui, anche per le aziende avere a disposizione parametri e strumenti per misurare il proprio stato di salute è oggi giorno fondamentale.
Nel modulo “Financial Management reporting e le nuove tecnologie di supporto” abbiamo visto come un efficacie sistema di reporting debba necessariamente tenere in considerazione alcune variabili chiave:
gli indicatori “devono essere” di chi li usa;
l’ownership (la proprietà) di un KPI ((Key Performance Indicators) passa attraverso il contributo che le persone mettono nel costruirlo;
si ottengono risultati di successo coinvolgendo le persone nel processo di misurazione;
prima di essere deliberato, il sistema va testato, le misure vanno verificate, l’origine dei dati deve essere validata.
Attraverso esempi e casi concreti, i partecipanti del corso hanno colto l’importanza di coinvolgere direttamente gli attori interessati nel processo di ideazione e configurazione dei KPI (Key Performance Indicators). Altrettanto importante è che il sistema sia testato prima di essere applicato, altrimenti il rischio è quello di produrre risultati e comportamenti disallineati rispetto agli obiettivi.
La qualità della reportistica non può, altresì, prescindere dalla progettazione ed implementazione di sistemi informativi idonei a soddisfare una richiesta di dati affidabile e tempestiva. In un contesto come quello odierno, dove la mole di dati e la loro complessità è in costante aumento, le tecnologie di Business Intelligence forniscono un valido supporto nel processo di elaborazione delle informazioni. La Business Intelligence fornisce all’utente finale l’analisi dei dati aziendali attraverso una visione di insieme di facile e veloce comprensione al fine di poter prendere decisioni intelligenti sulla base di valori concreti e affidabili.
Nell’ultima sessione i partecipanti hanno avuto modo di cimentarsi nella costruzione di un sistema di reportistica applicato all’area Finance e Controllo di gestione, attraverso la predisposizione di un Analisi di Bilancio.
Abbiamo imparato a leggere il contenuto di un Bilancio d’esercizio e ad ottenere alcuni indicatori importanti per esprimere un giudizio sulla redditività, solidità e solvibilità di un’azienda. Abbiamo visto come gli indicatori non vadano presi singolarmente, in modo acritico, ma sia necessaria una loro lettura d’insieme, per cogliere la specificità dell’azienda.
Il pensiero che vorrei lasciare a chi si sta cimentando nell’implementazione di un sistema di reporting e misurazione delle performance è come sia necessario “cucire un vestito su misura per ogni impresa”.
Le tecnologie informatiche e i modelli standard forniscono un validissimo supporto nelle primissime fasi di avviamento, ma poi ogni impresa deve “tagliare e aggiustare” il sistema, per meglio adattarlo alla sua forma e alla sua idea di business.
Come in ogni buon lavoro di sartoria, dove c’è bisogno di fare e disfare prima di ottenere il vestito perfetto, così nelle imprese il processo di ideazione di un sistema di reporting richiede tempo e dedizione.
Tempo e dedizione che sono però necessari, perché nessuna azienda sarà in grado di operare a lungo se gli operatori non ricevono informazioni a feedback delle loro attività.
Dalle lezioni del 6 e 7 Maggio 2021 del corso “Il Financial Management reporting e le nuove tecnologie di supporto”.
Il “quanto mi costa?” è la domanda che l’impresa si pone di fronte al lancio di un nuovo prodotto, alla revisione di un processo produttivo o, più in generale, ogni volta che si trova a dover scegliere tra diverse alternative. Tutti i partecipanti al progetto di alta formazione Metal University, seppur nella loro diversità di ruoli e competenze, si sono sentiti rivolgere questa domanda almeno una volta in azienda.
La contabilità industriale nasce per rispondere a quesiti come questo, “quanto mi costa?”, ma il suo ruolo in azienda acquisisce sempre più rilevanza strategica, man mano che diventa necessario, se non essenziale direi, avere a disposizione informazioni chiare ed esaustive per guidare l’impresa nella giusta direzione.
In alcuni contesti, come le imprese che operano per commessa, dotarsi di sistema di contabilità industriale è fondamentale, perché il controllo dei costi contribuisce direttamente alla formulazione dei prezzi di vendita e alla definizione della marginalità obiettivo.
Il controllo dei costi è un’attività che va svolta in un’ottica preventiva (i costi standard), concomitante (report di monitoraggio) e consuntiva (i costi effettivi e l’analisi degli scostamenti), senza perdere di vista gli attori partecipi dell’intero processo: le persone.
Nell’implementazione di un sistema di contabilità industriale occorre, infatti, tener ben a mente due cose:
non esiste un costo vero, ma al massimo un costo strategicamente corretto;
un sistema di controllo costi, anche se ben progettato, non serve a nulla se non induce “a fare”, cioè se non produce un’azione correttiva e migliorativa.
Con esempi e casi pratici durante le lezioni del corso abbiamo visto come la smania di ricercare un costo vero in senso assoluto rischi di portare a risultanti fuorvianti, se non addirittura controproducenti per l’azienda. La scelta della configurazione di costo, le metodologie di raccolta e analisi dei dati sono attività che devono essere svolte con spirito critico, chiedendosi costantemente non solo il “come” dell’analisi, ma anche il “perché”. Se cambia lo scopo, cambia anche il tipo di configurazione da preferire. Charles T. Horngren, docente di contabilità dei costi, in proposito ammoniva: “in un’impresa, un certo metodo può essere desiderabile poiché induce il comportamento desiderato; in un’altra impresa lo stesso metodo può invece essere causa di effetti comportamentali opposti a quelli desiderati”.
La contabilità industriale costituisce uno strumento prezioso per le aziende, ma da maneggiare con cura, ricordandosi sempre che le persone agiscono, non i numeri.
La motivazione delle persone è da sempre un elemento chiave della leadership e una delle sfide principali nella organizzazione delle aziende. Il termine deriva dal latino motus, ossia movimento e indica il muoversi di un soggetto verso qualcosa di desiderato. Il modello motivazionale classico, derivato dalla psicologia Comportamentista, sostiene che le persone vanno guidate attraverso “Rinforzi” dei comportamenti desiderati e “Punizioni” per disincentivare quelli indesiderati.
E’ il cosiddetto modello “Carrots and Sticks”, la Motivazione 2.0, che sprona le persone al movimento agendo dall’esterno, erogando succulente carote o robuste frustate (per fortuna metaforiche). E’ un modello che ha funzionato tutto sommato bene fino a quando le aziende hanno avuto bisogno di meri esecutori di azioni ripetitive nelle quali i dipendenti agiscono solo per ottenere ricompense e evitare punizioni.
Oggi il mondo è cambiato: le aziende ricercano maggiormente persone orientate al problem solving, alla collaborazione tra funzioni, alla flessibilità nell’interpretazione del ruolo e al miglioramento continuo. Il modello 2.0 crea esecutori, oggi abbiamo bisogno di persone che giocano creativamente il proprio ruolo. Per questo si cerca un modello motivazionale nuovo, più adatto a stimolare persone con queste caratteristiche.
Come può un’azienda stimolare la motivazione in modo diverso? In realtà cosa serve per superare il modello comportamentista è noto da tempo (oltre 50 anni), eppure i risultati ad oggi non sempre sono all’altezza delle aspettative. Come mai? La risposta è che per avere quello che le aziende chiedono oggi alle persone bisogna che lo stimolo motivazionale provenga dall’interno; questo significa che l’azienda, per motivare, deve predisporre le condizioni perché chi lavora estragga la motivazione da dentro di sé. Non si può motivare direttamente le persone ma è necessario costruire strategie che permettano di far emergere le leve motivazionali personali di dipendenti e collaboratori. Vi segnalo un autore che ha scritto molto bene sulla Motivazione 3.0: Daniel H. Pink con il suo testo “Drive” e con i numerosi contributi che si possono trovare sul Web. Pink sostiene che la motivazione dall’interno, quella che ti “automotiva” si basi su tre pilastri: Autonomy, Mastery e Pourpose. Rimando l’approfondimento al libro citato o, per chi ha partecipato al mio intervento per Metal University, al materiale didattico distribuito. Qui vorrei invece porre una domanda che mi sta molto a cuore. Qual è il ruolo del denaro nella motivazione? Quanto conta nella motivazione individuale e, soprattutto, qual è il ruolo del denaro per un’azienda? Aspetto vostre osservazioni e commenti per approfondire ulteriormente questo tema decisamente “caldo”.
Dalle lezioni del 19 e 20 novembre 2020 di Metal University
Alessandro Rovetta
Docente Riconversider – Sviluppo competenze manageriali
Minerale di ferro, classificazione, estrazione, preparazione per l’uso in altoforno o per riduzione diretta, pellettizzazione e sinterizzazione.
Ormai da diversi anni siamo ripetutamente sollecitati sul destino di uno degli impianti siderurgici più importanti d’Europa, l’ex ILVA di Taranto, oggi controllata dal gruppo Arcelor Mittal.
L’enorme impianto è frequentemente alla ribalta delle cronache per le sue reiterate ipotesi di chiusura o riconversione industriale giustificate dall’elevato impatto ambientale del sito. Udiamo spesso parlare di gravi rischi per la salute ed imminenti blocchi delle linee a caldo, cuore del processo; ma sino ad ora la battaglia ed il confronto tra magistratura, governo, parti sociali ed impresa prosegue, da un lato per scongiurare la chiusura di un impianto strategico per l’economia italiana e dall’altro per tutelare la salute di cittadini e lavoratori. Certa è una cosa: solo l’equilibrio tra le due istanze porterà ad una “vittoria diffusa”, di buon senso e di lungimiranza perché non vi è sul tavolo l’opzione o la salute o il reddito di un’impresa, ma un pezzo importante dell’economia della nostra nazione il cui fine ultimo è creare il benessere dei suoi cittadini a tutto tondo.
Si potrebbe discutere molto di economia, salute, sostenibilità ma non è questo lo scopo di questo breve articolo, il cui senso è raccontare brevemente di una storia scientifica e tecnologica che parte dalla terra… dalle viscere della terra. Anzi no, dalle stelle!
L’acciaio che usiamo per le nostre costruzioni, siano esse meccaniche o infrastrutturali, è prodotto oggi sostanzialmente in due modi: o partendo dal minerale o dal riciclo dei rottami ferrosi. Nel secondo caso abbiamo tipicamente a che fare con le così dette mini acciaierie; nel caso che parte da minerale parliamo, invece, di Ciclo Integrale. Partiamo con questa nostra breve narrazione.
Nel Ciclo Integrale si parte dalla “Terra” e dal “Fuoco” già, perché è dalle viscere della terra che si estraggono il minerale ferroso ed il carbone che fatti reagire insieme per combustione nell’Alto Forno daranno origine alla ghisa greggia che poi, decarburata ed affinata, contribuirà a generare l’acciaio. Uno dei migliori acciai realizzabili perché è caratterizzato da purezza elevata in virtù appunto, della elevata qualità delle materie prime di partenza ovvero il minerale ferroso e non il rottame, ottimo pure quello, ma sempre inquinato da molte sostanze che derivano dal processo del suo riciclo.
Ma dicevamo prima che è una storia che nasce dalle stelle! Si, tutto il ferro presente nel nostro pianeta è, secondo la scienza moderna, stato prodotto miliardi d’anni fa per fusione nucleare nelle stelle; in molteplici e numerosissime stelle che giunte alla fine della loro esistenza, condannata da un eccesso di ferro e dall’esaurimento dell’idrogeno e dell’elio, esplosero irradiando nel Cosmo elementi chimici oggi assai preziosi per l’uomo industriale. Il ferro insieme a molti altri elementi costituì poi le nubi di polvere su cui si formarono vari sistemi solari e quindi insiemi di pianeti fra cui quelli rocciosi, come la nostra meravigliosa Terra.
Il Ferro (Fe) si concentrò nel nucleo del nostro pianeta ma rimase presente in quantità notevoli anche nel mantello e nella crosta terrestre (circa il 6% della crosta terrestre è costituito da Fe che è il quarto elemento più presente dopo ossigeno, silicio e alluminio) da cui iniziò ad essere estratto, sin da tempi antichi, sotto forma di minerale, ovvero non come elemento puro ma come ossido, carbonato, solfuro, ecc..
Torniamo coi piedi per terra anzi, dobbiamo scavare, a volte molte centinaia di metri in profondità per estrarre i minerali di ferro, alcuni dei quali sono i più ricchi di metallo e quindi meglio promettenti per l’estrazione dell’elemento sotto forma metallica. Ricordiamo alcuni nomi di minerali di ferro comuni: ematite, magnetite, limonite, pirite…. Certamente l’ematite e la magnetite sono i minerali preferiti e spesso si trovano associati in forme geologiche stratificate chiamate Taconiti.
L’estrazione del minerale è affare per geologi ed è solo l’inizio perché dal momento in cui la roccia, ricca di ferro, è scovata da sondaggi e carotaggi da li nasce la miniera, non un semplice scavo nel suolo ma un vero e proprio impianto che estrarrà, frantumerà, vaglierà, arricchirà, concentrerà, agglomererà e cuocerà i derivati del minerale con processi termo-chimici specifici come la pellettizzazione e la sinterizzazione per dare origine ad una materia prima, non più solo minerale grezzo, ma semilavorato più idoneo ed efficace per entrare nella bocca dell’Alto Forno, dopo essere arrivato via nave o per treno ai parchi minerari dei grandi stabilimenti siderurgici, per lo stoccaggio (così come avviane a Taranto).
I parchi minerari sono immensi e li si stoccano pellets, sinter e minerale di ferro pre-lavorato ma anche il carbone antracite che, dopo la distillazione diverrà carbon coke. Il coke insieme alle materie ferrose entrerà nell’alto forno, ivi brucerà, ridurrà l’ossido di ferro del minerale o sinter/pellet, formerà la spugna di ferro e poi, per carburazione la ghisa liquida che sarà spillata dall’alto forno.
Sono questi parchi minerari il punto debole ecologico degli impianti siderurgici perché è da essi che si sollevano enormi quantità di polveri fini che vengono trascinate dai venti nei dintorni per poi ricadere nelle zone abitate.
Ogni lavorazione e trattamento dei minerali è il frutto di alcune centinaia d’anni di sviluppo e ricerca in campo siderurgico benché, ovviamente, gli ultimi decenni abbiano regalato le innovazioni ed avanzamenti più importanti, anche in ragione di un progressivo impoverimento dei giacimenti e peggioramento della qualità delle materie prime che necessitano di più intensivi processi d’arricchimento.
Da un impianto siderurgico da ciclo integrale escono annualmente diversi milioni di tonnellate di acciaio di ottima qualità la cui disponibilità per una nazione industriale è un asset economico fondamentale e preziosissimo. Gli impianti sono di dimensioni ciclopiche e la loro complessità enorme. Privarsi scioccamente di questa risorsa sarebbe un ulteriore arretramento del nostro Paese sullo scacchiere economico mondiale.
La siderurgia e la metallurgia sono discipline affascinanti e complesse e con esse hanno corso e corrono le pagine della storia umana. Metal University è il format ideale per i tecnici che lavorano in questi ambiti e voglio approfondire le loro conoscenze scientifiche, tecnologiche e gestionali per la crescita personale e delle loro Organizzazioni.
Dalla lezione del 3 dicembre 2020 di Metal University
Viviamo tempi incerti che stanno ridefinendo il “cambiamento” come una sorta di nuova normalità (mentre in passato si trattava di momenti o di fasi eccezionali o al più cicliche della storia e della vita aziendale). Una nuova “normalità” che non è facile accettare perché il cambiamento è più spesso un’esperienza che ci troviamo costretti ad affrontare piuttosto che un’esperienza che scegliamo autonomamente di vivere. In più, malgrado la pura osservazione ci insegni da sempre che il mutamento è parte integrante del vivere (è una verità biologica, sociale ed esistenziale) la nostra (comprensibile) tendenza psicologica è quella di attaccarci ed affezionarci all’idea che il Mondo sia “fermo” e che i suoi principi e le sue regole possano vivere -immutate – in eterno.
Ma come possiamo aiutare noi stessi e gli altri a vivere il cambiamento come un’esperienza – sì faticosa – ma anche arricchente e ispirante? Come possiamo trovare dentro di noi la forza di pronunciare un “Sì” al cambiamento per poterlo sperimentare e modificare anche a nostro vantaggio? Cercando di comprendere la dinamica del cambiamento da tre punti di vista: quello personale (che cosa ci aiuta individualmente ad affrontarlo), quello collettivo (che cosa aiuta un gruppo o un’organizzazione a partecipare ad un cambiamento) e quello organizzativo (quali strutture organizzative possono facilitare un percorso di cambiamento piuttosto che ostacolarlo)?
Dei tre, l’approccio personale al cambiamento è quello più importante perché determina non solo come noi ci relazioniamo con noi stessi nell’affrontare una trasformazione, ma anche come ci relazioneremo con gli altri (il team) e con l’organizzazione che abitiamo professionalmente.
Dunque, che cosa ci aiuta e cosa ci ostacola nei processi di cambiamento e trasformazione?
Per prima cosa ci aiuta rivedere il modo in cui percepiamo la nostra identità. Tendiamo tutti a raccontarci “dal passato” utilizzando il nostro CV professionale o esistenziale e questo ci porta a credere di essere principalmente ciò che abbiamo già fatto (o come lo abbiamo sempre fatto). Le cose cambiano se arricchiamo il racconto di noi stessi “dal futuro” ovvero se ci apriamo alla possibilità di poter essere definiti anche da ciò che potremmo fare un domani. La risposta alla domanda “chi sono Io” non è più solo la lista di ciò che sono stato ma anche la lista delle mie migliori possibilità e potenzialità future. Ed ecco che cambiare le nostre abitudini non ci apparirà più come un “tradimento” della nostra storia personale ma come una nuova opportunità.
Il secondo elemento riguarda il tema della paura. Cambiare fa paura ed è normale che sia così. Ma cosa fare? Come trovare il coraggio? Bene il coraggio in realtà non ci aiuta perché semplicemente non è qualcosa che possiamo “trovare”. Il coraggio è un concetto ideale che funziona solo nel mondo delle idee ma non nella realtà. Nella realtà l’antidoto alla paura è l’azione. Ed è dall’azione che emerge il coraggio, nel senso di “diminuzione progressiva della paura”, grazie all’esperienza. Iniziare a “fare”, a muovere un primo passo toglie energia alla paura. Se “facciamo” non abbiamo tempo di avere paura.
Collegato a questo punto è il terzo tema, quello dell’accettazione. Se a livello mentale rifiutiamo un’esperienza ovvero cerchiamo di allontanarla da noi, ci impediamo di conoscerla. Al contrario dovremmo imitare i neonati che per conoscere il Mondo lo toccano, lo mordono, lo manipolano. Se dentro di noi riusciamo a fare spazio all’idea che il nuovo possa entrare nella nostra vita, allora riusciamo a sperimentarlo in profondità, riusciamo a comprenderlo, ce ne facciamo un’idea più lucida e reale e ne cogliamo anche gli aspetti positivi. E soprattutto possiamo “lavorarlo” a nostro vantaggio (cosa che il “rifiuto” non ci consente di fare perché ci toglie la possibilità di sperimentare).
La quarta risorsa facilitante il cambiamento è l’autorizzazione all’errore. Non possiamo accettare il cambiamento (né fare progressi) se non riusciamo ad accettarci nell’errore, a darci il permesso di sbagliare. Se siamo giudici troppo severi di noi stessi sceglieremo di non sperimentare per non correre il rischio di sbagliare. Ma un cambiamento privo di rischi non è un “cambiamento” ma un mero adattamento. Quindi per poter cambiare dobbiamo volerci abbastanza bene da accettarci anche quando facciamo errori.
La quinta e ultima risorsa è quella della prefigurazione. Ciò che tendiamo a pensare e a provare emotivamente del futuro dipende da come lo prefiguriamo nella nostra mente. Se modifichiamo le nostre prefigurazioni modifichiamo anche i nostri atteggiamenti e le nostre credenze. Immaginare noi stessi in un contesto diverso sapendo prefigurarsi sia svantaggi che vantaggi cambierà radicalmente il nostro modo di porci che – al minimo – ridurrà il peso di giudizi e pregiudizi dando spazio ad una visione più realistica ed equilibrata del cambiamento.
Un’ultima considerazione, forse la più importante: ciò a cui ci opponiamo non è tanto il “cambiare” in sé, ma è “l’essere cambiati” ovvero il sentirci oggetti passivi di un processo di trasformazione. Facilitare l’inclusione e la partecipazione a questi processi diventa così di capitale importanza e può fare, nelle organizzazioni, una sostanziale differenza sul buon esito del percorso aziendale.